incontro con Graziella Priulla

17 gennaio 2018 di: Pina Mandolfo

Graziella Priulla, sociologa, saggista e attivista torinese, già docente di Sociologia dei processi culturali alla Facoltà di Scienze Politiche di Catania.

Quest’anno – per raggiunti limiti di età – ha lasciato il suo lavoro, e le dispiace, perché lo ritiene il più bello del mondo.

Ha sempre lavorato con le donne, fin dai tempi lontani dell’UDI anni ’80. E’ impegnata per questo anche nel suo Ateneo, prima con i Comitati Pari opportunità e dall’anno scorso con i corsi di genere, che è riuscita a far inserire a pieno titolo nella programmazione didattica ufficiale. Lavora anche (e forse soprattutto) alla formazione delle docenti e dei docenti nello sforzo di introdurre esplicitamente l’identità di genere nelle istituzioni formative.

A questo scopo ha scritto C’è differenza. Identità di genere e linguaggi. Un manuale – forse il primo in Italia – di educazione di genere per le scuole. Definisce i concetti, elenca gli stereotipi. Racconta di corpi, immagini e parole di donne: nella storia, nei mass media, nella cronaca e nella lingua quotidiana. Ha prodotto anche un corpus voluminoso di didattica online, sullo stesso tema.

Si è sempre occupata di comunicazione e di linguaggi, da quello giornalistico a quello della pubblicità. Collabora a corsi di formazione per giornaliste, perché i linguaggi dei media siano più attenti e più rispettosi, perché non si dica mai più “Uccisa per troppo amore”.

Il linguaggio fa la sua parte, ed è anche per il suo tramite che vengono gettate le basi per la costruzione di situazioni di disparità e di relazioni di prevaricazione nella vita quotidiana.

Nel suo libro Parole tossiche Priulla indaga le zone d’ombra della società, i nodi irrisolti dei rapporti tra i generi visti appunto attraverso la lingua. Il titolo “Parole tossiche” si riferisce a quelle parole che avvelenano, che feriscono, magari inconsapevolmente, sempre sciattamente. Il testo raccoglie e cataloga gli insulti soprattutto misogini e omofobi scagliati da politici, persone pubbliche e gente comune; percorre il sentiero dei termini offensivi, delle imprecazioni e degli insulti usati comunemente e ne traccia la storia a partire dal significato originario; analizza il loro uso odierno ed esplicita il contesto culturale e sociale che ogni termine riproduce (e rigenera).

Il suo più recente saggio, Viaggio nel paese degli stereotipi. Lettera a una venusiana sul sessismo, è un divertissement nato proprio raccogliendo i luoghi comuni sessisti che emergevano durante i dibattiti nelle scuole, a partire dai titoli che venivano dati agli incontri fino alla «sequela di banalità» intrisi di sessismo che fanno parte del parlare quotidiano.

 

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