Twosome, la grande mostra di Louise Bourgeois

10 febbraio 2018 di: Grazia Fallucchi

Vedere insieme più di 50 opere di Louise Bourgeois – sculture monumentali, e di piccole dimensioni, disegni e lavori tessili, persino scritti dei suoi periodi più importanti – è una esperienza forte, un viaggio attraverso un universo femminile (l’universo femminile?). Si esce da Twosome, la mostra dell’artista franco-americana – sino al 18 febbraio al Museum of Arts di Tel Aviv – con la sensazione di avere assistito allo svolgersi di una seduta psicanalitica lunga una vita. Il complesso corpo delle opere di Louise Bourgeois è drammatico, doloroso, così personale da essere indecente. Opere affascinanti che uniscono sessualità e psicanalisi: settanta anni di lavoro per molto tempo sconosciuto ai più e interrotto per un lungo periodo da una profonda depressione. Infine nel 1982, la settantunenne Bourgeois è la prima artista donna ad avere una personale al MOMA. Premi e riconoscimenti si sprecano per questa artista totale, scomparsa nel 2010 a 98 anni: tra gli altri, la Legion d’honneur francese nel 2008, il nostro Leone d’oro alla carriera di Biennale nel 1993 e nel 2009, apparentemente incongruo, l’Ordre de la Grande Gidouille del Collège de Pataphysique (creato nel 1899 da Jarry), in buona compagnia di gente come Picasso, Niemeyer, Max Ernst, Man Ray .

Arrangeuse du monde la definiva Arrabal nel consegnarle l’ordine della Grande Pancia ubuesca e davvero Bourgeois “arrangia” il proprio mondo interiore attraverso creazioni che sono esorcismo simbolico di memorie traumatiche infantili. Opere sul rapporto tra sé e gli altri, tra indipendenza e dipendenza, tra il reale e l’immaginario; che svelano un continuo oscillare tra due poli, maschile e femminile, conscio e inconscio, piacere e dolore, odio e amore. La dualità ricorrente nell’opera di Bourgeois è evidente in questa che è la prima importante esposizione in Israele: non a caso uno dei due curatori – l’altra è Suzanne Landau – è Jerry Gorovoy che per 30 anni è stato molto più che assistente dell’artista e che l’ha conosciuta come nessuno.

Ed eccola, Twosome, Il Duo (creata nel 1991 per la collettiva Dislocations del MOMA), la monumentale scultura che dà il titolo alla mostra, opera rara e atipica di Bourgeois per le dimensioni e per una estetica da archeologia industriale. Twosome lascia letteralmente senza fiato: nello spazio buio della sala, due grandi serbatoi computerizzati in acciaio nero sono uniti da un binario, il più piccolo entra ed esce continuamente dal più grande. Il movimento suggerisce subito l’atto sessuale, anche per via della luce rossa emanata dal tank più grande e per i rumori che accompagnano questo perpetuo andare e venire ma Bourgeois – confutando le fantasie di chi osserva – spiegava che, prima ancora che di sesso, Twosome parla di un dialogo profondo tra uomo e donna: tuttavia l’espulsione e insieme il riprendere a sé il tank più piccolo da parte del più grande simbolizzano il complesso rapporto madre e figlio, la relazione primaria causa di tutte quelle a venire. Il binario-cordone ombelicale che non si riesce a recidere. La protagonista è dunque sempre Josephine, la madre di Louise, che vive nelle tante sculture ormai celebri, in bronzo, acciaio, marmo: il ragno Maman, qui a Tel Aviv diventa una Coppia di ragni, la madre che abbraccia/ingloba il figlio/figlia tessendo tra loro un filo di seta. Come non pensare alla vocazione paziente di restauratrice di arazzi di questa madre tradita -e con lei Louise- dal marito/padre Louis? Le dinamiche di questo primo legame sono il modello per tutti i rapporti futuri, le tante coppie ne sono evidentemente la forma simbolica.

La stoffa di vecchi abiti del Child Devoured by kisses, il marmo della Women house, il feltro della serie Janus (volti che si toccano con lunghe lingue rosse che tradiscono giocosa intimità ma possono trasformarsi in pugnali quando prevale la paura di abbandono), la plastica e il lattice della Fillette (la scultura fallica che pende dal soffitto), l’alluminio lucente dei due corpi a spirale della Couple che ondeggia dall’alto: sono alcuni degli innumerevoli materiali usati da Bourgeois per queste opere incandescenti, che turbano o addirittura appaiono sgradevoli.

E poi, anzi prima di tutto, le celebri Cell, Cellule, installazioni decisamente psicanalitiche – “per liberarmi del passato devo ricostruirlo” spiegava Louise- nelle quali si vorrebbe entrare. Ma le Cellule sono spazi racchiusi da grate, prigioni che lasciano vedere ma non toccare i ricordi simbolici. Ogni oggetto è significante. Specchi, “molti specchi e molte realtà”; grandi sfere di vetro, “organismi finiti, perfette e fragili come il mondo“. Che cosa vuol dire la luce rossa sospesa su una seggiolina e uno specchio in miniatura nella monumentale Cell Passage Dangereux che esplora i riti di passaggio di una ragazzina? Segreti ben conservati. L’arte, che è stata per tutta la vita il mezzo per venire a patti con se stessa, è per Louise Bourgeois “garanzia di sanità mentale”.

 

 

 

 

 

 

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