La percezione della violenza

25 marzo 2018 di: Serena Germani

La parola violenza deriva dal latino violentia che a sua volta trae origine da vis, forza; già dall’etimologia, dunque, essa denota un atto principalmente fisico. Infatti, con riferimento a una persona, è definita come la tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale, ricorrendo anche a mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di costringere alla sottomissione, forzando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione, o anche come modo incontrollato di sfogare i propri moti istintivi e passionali. La violenza si manifesta sotto diverse forme, fisica, verbale, psicologica, tutte ugualmente negative, qualcuna anche subdola, e ogni giorno alcune persone ne usano, altre ne subiscono, molte restano spettatori impotenti. Ma come percepiamo la violenza? Tempo fa mi sono imbattuta nella lettura di un libro “Il tempo materiale”, di Giorgio Vasta. Nella Palermo del 1978, anno culmine degli anni di piombo segnato dal sequestro di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse, tre ragazzini precoci nelle passioni ideologiche, stanchi del provincialismo dell’Italia, tentano di emulare il movimento terroristico fondando una propria cellula. La narrazione lenta è un susseguirsi di pensieri intimi ed estremi dei personaggi, e di azioni sempre più violente: ad una prima parte di teoria, tirocinio, preparazione dei protagonisti – questi si separano dai loro compagni di classe, si danno dei soprannomi e creano un loro alfabeto con gesti del corpo (alfamuto) – segue una seconda parte, la pratica, l’azione: decidono di far notare la loro presenza scegliendo dei bersagli da colpire e compiendo atti di teppismo sempre più grandi. Il libro termina con il sequestro, l’uccisione, e il conseguente occultamento di cadavere, di un loro compagno di classe. I ragazzini hanno solo undici anni, e ciò che sconvolge è la freddezza con cui, nonostante l’immaturità, agiscono e giustificano i loro atti in nome di una ideologia, con l’errata concezione di apportare un cambiamento con la violenza; ma anche la paura che seminano poiché, a causa della loro età, non si riesce a trovare il colpevole degli attentati. Se i protagonisti non fossero stati dei ragazzini ma degli uomini, avremmo avuto la stessa reazione di fronte alla lettura? La violenza, se usata da bambini o donne, quasi si amplifica, viene percepita in maniera molto più forte poiché nella normalità sono due categorie di individui generalmente inermi e si fatica a credere che possano comportarsi in maniera aggressiva, pianificare e compiere gesti estremi; non a caso digitando su google la parola violenza, risultano principalmente immagini di donne abusate. Spesso ci si chiede perché le persone possono arrivare a questo punto, cos’è che scatena la violenza. Nella maggior parte dei casi la causa non è da ricercare in patologie mentali bensì nel disagio causato da particolari condizioni sociali, economiche, culturali, dal sistema scolastico, dall’educazione e dal contesto familiare. Viviamo in una società che impone uno stile di vita con determinati standard, che però non è assolutamente in grado di garantire; una società sempre più individualista, indifferente, che tende a ignorare e nascondere i problemi. L’instabilità pervade qualsiasi aspetto della nostra vita: lavorativo, affettivo, sentimentale. Eliminando le disuguaglianze e permettendo a tutti una vita dignitosa e più sicura, probabilmente si potrebbe intervenire ed arginare episodi di violenza.

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