assassinio di una attivista

4 aprile 2018 di: Daria D’Angelo

Era fiera e bellissima, Marielle Franco, e come se il suo brutale assassinio lo scorso 14 marzo, non fosse stato abbastanza terribile, ecco che qualche ora dopo – insieme ai messaggi di cordoglio da tutto il mondo, alle manifestazioni di solidarietà e alla volontà di raccogliere l’eredità lasciata dall’attivista che lottava per i diritti civili – sono spuntate notizie false sul suo conto:

“Veniva dalla favela, per questo difendeva i delinquenti!”
“Ha avuto una figlia a sedici anni!”
“Fumava marijuana!”
“Ha avuto una relazione con il trafficante Marcinho VP!”

No, Marielle Franco, era una donna speciale. Nacque il 27 luglio 1979 nel complesso della Maré, nella Zona Nord di Rio de Janeiro, una delle zone più povere della città. Dietro tristi pannelli, ufficialmente antirumore, e tra i fetori di un mare morto da tempo, dove vivono 130.000 abitanti. Il tassista che sfreccia verso gli alberghi portando i turisti sulle spiagge raccomanda finestrini chiusi per l’odore nauseabondo e il «non si sa mai». Profondamente legata a questo luogo, per tutta la sua vita Marielle si presenta non soltanto come “donna, nera, lesbica e madre”, ma anche come “cria da Maré”, figlia della Maré. A vent’anni, vede una sua amica morire in una sparatoria tra poliziotti e trafficanti e questo episodio la segna per la vita: è il 2000 quando prende la decisione di combattere per i diritti civili; è il 2002 quando riesce entrare alla Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro con la borsa di studio Prouni per studiare Sociologia; è il 2006 quando entra ufficialmente in politica appoggiando il deputato Marcelo Freixo, con lui lavora per dieci anni, e si candida a sua volta alle elezioni del 2016, diventando assessora per il gruppo Mudar é possível (Cambiare è possibile), e ricevendo il quinto numero di preferenze più alto in tutto il comune di Rio de Janeiro.

Marielle, bella e fiera, era appena uscita da un dibattito pubblico sul tema a lei più caro, la violenza sulle donne nelle aree di rischio. La sua è stata una vera e propria esecuzione. Sapevano tutto: che lei era in quell’auto, seduta dietro, sono andati a colpo sicuro nonostante la notte e i vetri scuri. Dalla macchina affiancata al semaforo sono partiti dieci colpi, hanno ucciso lei e Anderson Gomes, l’autista. Quattro giorni prima di morire Marielle aveva denunciato la morte ingiustificata di due giovani, alla periferia nord di Rio, per mano della polizia. Appena poche ore prima dell’agguato, aveva scritto su Twitter: «Quante altre persone dovranno morire prima che questa guerra finisca?».

Lo slogan di una manifestazione in suo onore è una bellissima frase: “Hanno voluto seppellirti, ma non sapevano che eri un seme”. Io la voglio ricordare qui, perché il suo sorriso e la sua forza, il suo esempio e il suo coraggio, sono eccezionali in una società come il Brasile, ritornata nel caos e nella corruzione dopo aver tenuto un’immagine di facciata per i Mondiali di calcio e le Olimpiadi. Con la classe politica corrotta spazzata via dai giudici, i narcos e le milizie paramilitari si sono ripresi gli spazi perduti negli anni in cui la città era sotto gli occhi del mondo. Il governo centrale ha risposto commissariando Rio con i militari, e il governatore è stato esautorato da un generale poche settimane fa. Contro questa misura estrema, possibilmente foriera di altre morti e brutalità nelle favelas, lottava Marielle Franco.

 

 

 

1 commento su questo articolo:

  1. lorenza scrive:

    Grazie Daria.hai ricordato una donna speciale .

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