il duro mestiere della fotoreporter, parla Letizia Battaglia

3 maggio 2018 di: Marcella Geraci 

No, questa volta non farò nessuno scatto per immortalare l’incontro sul Fotogiornalismo dall’era analogica all’impero dei social, organizzato da Assostampa e Ordine dei Giornalisti. Mi sembrerebbe di andare con le dita negli occhi all’ultima specie di fotoreporter presente nell’aula consiliare di piazza Pretoria. Sarebbe proprio difficile prendere il telefono in mano per avere un’immagine dopo quello che ho sentito, nonostante una carrellata di macchine fotografiche storiche renda ancora più appetibile quel tavolo di professionisti della fotografia.

Hanno tenuto l’incontro i fotoreporter Nino Giaramidaro e Mike Palazzotto, il giornalista e fotoreporter Franco Lannino, la fotoreporter Grazia Bucca ed infine la fotoreporter e fotografa Letizia Battaglia, che ha raccontato i suoi anni trascorsi al giornale “L’Ora”.

Sembra trascorso un secolo da quando il fotografo chiamava collega il giornalista ma non viceversa e da quando insieme al giornalista, il fotografo veniva mandato allo sbaraglio ma rischiava il doppio perché riconoscibile dal flash. «Io che ero donna, tutti mi facevano così» Letizia Battaglia spinge piano il collega accanto per dimostrare le sue parole. «Fino a quando non mi misi a gridare» aggiunge con tono fermo ma bonario. Per le donne imporsi è sempre più difficile. «Noi eravamo mal considerati allora, ma ci pagavano» sottolinea pensando ai tempi di oggi. Parlano i fotografi ma i tempi di crisi riguardano anche i giornalisti, pagati poco e utilizzati al posto dei fotografi grazie al digitale. Peccato che la fotografia sia un linguaggio e che un linguaggio non lo si improvvisi. Durante i lavori qualcuno prova a parlare di tecniche, di strumenti e di obiettivi più o meno capaci nel catturare l’immagine. «Sono cose di maschi» esplode Letizia Battaglia. «È qua» si batte la fronte con la mano «che si fa la foto». Un discorso che fa venire in mente la differenza tra il vedere il dito e la luna, tra lo strumento e la visione ma anche tra il sesso visto dagli uomini e dalle donne. Ha i capelli leggermente azzurri, Letizia Battaglia, e ricorda vagamente le fatine delle favole, quelle a cui era permesso trasformare la realtà con una bacchetta magica.

Ora di bacchette se ne cambiano tante, dall’analogico al digitale, ma la visione, no. È la visione che permette di trasformare la realtà in una bella fotografia, nonostante il digitale, nonostante gli editori. Nonostante tutto.

 

 

2 commenti su questo articolo:

  1. maria lo bianco scrive:

    Sono d’accordo, l’immagine, la visione, infine lo scatto sta prima di tutto nella mente sempre collegata col cuore e Letizia Battaglia mi piace quando dice sul resto “sono cose di maschi”. Anche in questo campo esiste la differenza e lei ne è la prova. Mi auguro, personalmente di riuscire un giorno ad esprimermi come vorrei e come penso da un po’. Letizia Battaglia ci è riuscita pienamente e ha dovuto faticare per imporsi. Colgo questo spazio per farle molti complimenti e le riconosco una correttezza, una lealtà e uno spirito libero e forte da tenere a mente e che l’hanno negli anni premiata.
    Maria

  2. Daria DAngelo scrive:

    “E’ la visione che permette di trasformare la realtà in una bella fotografia”.

    Una considerazione preziosa che può estendersi alle foto interiori della nostra vita, oltre che alle tue, rese opere d’arte perché filtrate da un obiettivo sensibile come te.

    Grazie, Letizia.

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