L’aborto è un diritto, la maternità anche.
Quarant’anni fa veniva approvata in Italia la legge n.194 che ha legalizzato e disciplinato l’aborto volontario; negli anni precedenti, infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato. La legge consente alla donna di ricorrere all’IVG in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione, mentre tra il quarto e il quinto mese è possibile ricorrere alla pratica solo per motivi di natura terapeutica; viene inoltre rafforzato il ruolo dei consultori familiari che hanno il compito di assistere la donna in stato di gravidanza. Un grande passo avanti per l’autodeterminazione delle donne, non più costrette ad abortire clandestinamente con seri pericoli per se stesse e per il feto, o a portare avanti una gravidanza a rischio, ma libere di scegliere.
Quarant’anni dopo, secondo i dati del report del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 104, il ricorso all’aborto è nettamente calato, e soltanto nel 15% dei casi avviene con interruzione farmacologica (introdotta solo nel 2009). Eppure, restano ancora delle difficoltà oggettive all’applicazione della legge dovute alla presenza di medici obiettori di coscienza e alla crescente chiusura dei consultori con una conseguente disinformazione per le ragazze minorenni e una mancanza di assistenza per le donne con problemi economici e familiari. Si stima che, paradossalmente, il numero di medici obiettori di coscienza sia aumentato rispetto al passato e che l’aborto sia più difficile al Sud a causa sia della mancanza di strutture ospedaliere adeguate, sia di una mentalità più conservatrice. Spesso le donne sono costrette a rivolgersi ad associazioni per essere ascoltate ed assistite, poiché i medici obiettori richiedono ulteriori accertamenti facendo raggiungere il tetto temporale per non poterlo più fare in Italia; questo avviene soprattutto in caso di interruzione terapeutica. Ancora molto resta da fare dunque, e quello che per me e le ragazze della mia generazione a volte può sembrare un diritto scontato, è frutto di molte battaglie che le donne hanno combattuto negli anni per vedere riconosciuto il proprio ruolo nella società e la loro libertà di scelta sulla propria salute e sul proprio corpo. Resta a noi portare avanti questo diritto e renderne più semplice l’attuazione.
Nel frattempo in Irlanda, uno dei paesi più conservatori d’Europa sui diritti civili, sta per compiersi una svolta storica e due terzi degli elettori risponde con il si al referendum sulla legalizzazione dell’aborto. Come in Italia, anche in questo paese la questione era diventata importante per il governo, poiché migliaia di donne sono state costrette a recarsi in Gran Bretagna per abortire, oppure a fare uso di farmaci acquistati clandestinamente. Il voto ha visto una grande partecipazione dei cittadini, gran parte dei quali tornati appositamente dall’estero, e una accesa campagna elettorale. Anche in questo caso una grande vittoria: molte donne unite in un desiderio comune, sono riuscite a far sentire la propria voce.
Quanto avvenuto mi porta, in maniera naturale, a fare una breve considerazione riguardo la condizione lavorativa della donna nella società contemporanea: in molti colloqui lavorativi, una delle domande più frequenti riguarda la volontà di avere dei figli e una famiglia; abbiamo meno possibilità, rispetto agli uomini, di essere assunte in età fertile poiché la nascita di un bambino potrebbe comportare un’assenza prolungata dal lavoro e non sono poche le storie di ragazze che perdono il posto in seguito ad una gravidanza. E la libera professione non garantisce ne tutele ne congedi di maternità; sarebbe giusto introdurre una legge che permetta alle donne di poterla svolgere nello stesso modo in cui questo è possibile per i colleghi uomini. Questi sono i nuovi diritti per cui dobbiamo batterci, ricordando sempre che siamo diventate così grazie a chi ha lottato prima di noi, e che non dobbiamo fermarci perché la strada da fare è ancora molta.
L’aborto è un diritto, la maternità anche.