Il rimosso torna. E prende la parola.
“Come voci in balìa del vento”-Un libro di Gisella Modica, quasi un romanzo.
Anni Settanta. Gisella è una militante comunista; la militanza ha innescato il bisogno e il coraggio della ribellione, ma poi ha compresso questo stesso bisogno in una nuova obbedienza e nella rimozione della propria identità differente. È allora che va a cercare le donne che hanno partecipato all’occupazione delle terre nella Sicilia degli anni Cinquanta, vuole capire che cosa è stata per loro quell’esperienza di lotta. Da poco ha avuto una figlia e la maternità è entrata subito in conflitto con la sua ricerca di libertà. Va comunque in giro e raccoglie molte interviste, ma la domanda “perché quella lotta è fallita?” non avrà mai risposta. Le voci di quelle donne torneranno a visitarla: Gisella ha sempre avvertito che quella ricerca ha a che fare con la ricerca di sé stessa, con una differenza negata e con l’inadeguatezza delle parole per dirla. Torneranno prepotenti dopo molti anni, dopo la morte della madre, quando emerge la necessità di assumersi completamente il proprio essere adulta e libera, ma anche di rivisitare il rapporto con la propria origine, omettendo il quale si omette una parte di sé stesse.
Che cos’è che non è emerso dalla trascrizione delle interviste, dalla cronaca dei fatti? Quali sono le parole negate? Stanno nei gesti. Rileggendo quel che è stato annotato, colpisce l’uso irridente della sessualità: lo sberleffo dell’alzarsi le gonne davanti ai militari, l’afferrarli per i genitali per confonderli e scappare. Colpisce una ferocia dionisiaca: “I figghi su come i piatti, quannu si rumpunu si accattanno” è la risposta sferzante data da una donna a un carabiniere. Colpisce anche l’innalzare a vessillo di lotta il cuore di Gesù insieme alla falce e martello.
Il rimosso è quel che non è logos, che non è pensiero razionalizzante: è il corpo, è il sacro, è il misterico.
Analogamente, la ricerca di identità di Gisella, innescata dalla morte della madre, non segue un percorso razionale ma percettivo, emotivo. Gisella parte dal suo corpo, dai sogni che la visitano, dal suo conflitto fra ricerca di libertà e bisogno di radicamento, dalla sua maternità e dal suo essere figlia. Un rapporto, quello madre – figlia, che parte dal coincidere, continua col differenziarsi e torna poi a trovare coincidenze, al riconoscimento di una genealogia. Questo è il passo necessario per diventare adulta, coniugando la pienezza della propria libertà al non sentirsi isolata nella propria fragilità.
In un unico gesto, il rimosso di Gisella prende la parola e restituisce la voce anche a quelle altre donne. Partendo da sé, ma comprendendo e abbracciando quel che, anche nelle altre, è stato negato dalla cultura patriarcale.
La via per operare questo risarcimento è quella dell’immaginazione, non separando sapere, corpo, emozione; cercando un filo di senso a quell’identità comune e differente. “Le parole per dirlo” non sono quelle dell’asettica fattualità e della sua razionalizzazione, ma un racconto, una ricostruzione empatica, che esprima un sentimento della vita. Né più e né meno che una narrazione letteraria, il luogo in cui libertà e necessità si sposano e creano identità emotivamente piene, una vita altra.
Identità emotivamente piene, rapporto madre-figlia-figlia, il femminile nella pratica della ribellione, come si ribellano le donne a differenza dei maschi? Col corpo prima di tutto? O con la testa e il cuore? Come si emancipa una donna dalla propria madre, dalla propria originale e unica irripetibile origine? Come ritrova l’identità un ‘identità compiuta ritornando dalla madre persa con la morte? Esistono, ancora, tante madri che Gisella è andata cercando nelle protagoniste delle lotte contadine? O erano tutte protagoniste senza logos ma solo pathos? E la maternità, l’esperienza più sconvolgente per una donna, per un essere umano la costringe a scappare da se stessa col pretesto di trovare nell’impegno politico un’alibi quasi? Parole troppo forti le mie?
Bello questo libro, si legge con partecipazione, finalmente dà voce senza alcuna balia a una donna colta e intelligente e sensibile come Gisella Modica che forte delle sue esperienze ce le mette a disposizione per infinite riflessioni e nuovi punti di partenza soprattutto e a partire dal colloquio che non si deve mai fermare tra donne, bambine, ragazze.
Ciao Gisella e a presto da qualche parte.
Maria Lo Bianco8
Grazie Maria per l’attenzione al mio testo. Per esperienza posso dirti che la cosa più difficile per me è stato abbandonare il ruolo di figlia nata da donna ( non figlia del padre intendo) per diventare madre di me stessa. Alla prossima.
Grazie delle tue parole.
cara Gisella
maria