Storia di Ciccio (dedicata al ministro Salvini)

24 giugno 2018 di: Francesca Traìna

Nessuno seppe mai come e quando arrivò a Buenos Aires. Avevo cinque anni quando decise di partire. Non capii nulla di quel dolore che solcò l’oceano. Ciccio faceva il fabbro nel paese di montagna. Era il terzo di sette fratelli. Arrivò in Argentina sapendo solo di chiamarsi Ciccio Macaluso. Il resto era gelo nelle tasche e intorno. Aveva venduto l’anima al diavolo per traghettare all’inferno. Alla partenza finse la spavalderia degli anni ma le lacrime, quelle, non le vide nessuno. Gli scoppiarono dentro.

Tante braccia arrivarono in America insieme a quelle di Ciccio. Braccia a buon mercato. Non erano che questo. Braccia che si offrivano in cambio della propria vita e della vita di quanti erano rimasti in quel paese della Sicilia aggrappati alle zolle ritorte di una terra povera di frutti e d’acqua. La storia di Ciccio diventò leggenda come quella di tanti altri fuggiti in cerca di lavoro.

Ciccio portò con sé un cartello sorretto da un pezzo di spago a forma di collana dove aveva scritto:

cerco mio patre Filippo Macaluso emigrato della sicilia.

Sceso dalla nave lo mise al collo con la speranza negli occhi.

 

1 commento su questo articolo:

  1. Francisco scrive:

    Questo articolo mi eccita e mi fa battere forte il cuore.

    Storie come questa hanno segnato questo secolo scorso, ci sono molti immigrati dalla Sicilia che hanno cercato un nuovo orizzonte a Buenos Aires, hanno lavorato e formato famiglie in un grande paese che li ospita, oggi i loro figli e nipoti hanno radici e fanno parte del “Nuovo Continente”.
    Un abrazo y gracias
    ft

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