Le ragazze del XX secolo

6 luglio 2018 di: Daria D'Angelo

E scrivo ancora della vecchiaia. Non della sua fragilità, della sua debolezza fisica e psichica, della vulnerabilità e del conseguente rischio di essere prevaricati, vorrei scrivere della vecchiaia nella modernità.

Come dovremmo definire, infatti, oggi chi entra a far parte della terza età?

Il termine vecchio infastidisce, non si addice più a tante persone che conosco, egregi rappresentanti di una terza età, che non finiscono mai di stupirmi, e neanche a me, che forse ci sono già dentro. La vecchiaia, infatti, non è solo un fenomeno biologico, ma anche e soprattutto un fenomeno culturale. Allora, bisogna vedere che tipo di esperienza si accompagna ai “nuovi” vecchi, in questa società ambivalente, che spesso si muove dietro un muro d’ipocrisia. Su un piano di facciata la società considera il vecchio come un adulto non più giovane, poi pretende da lui un’immagine sublimata di ” saggio venerabile “, ricco di esperienza, dai modi pacati e l’aspetto distinto. E se non si adegua a tale ideale moralistico, rischia paurosamente di scadere nella categoria del “vecchio pazzo” farneticante e bizzarro, patetico ma simpatico, cui tutto può essere perdonato perché: “ha un’età”.

Non è così, non lo è più.

Nel “vecchio” l’amore e la gelosia sembravano odiosi o ridicoli, la sessualità ripugnante (anche solo il parlarne o ricordarne!), la violenza irrisoria, e questo accadeva solo perché questi loro atteggiamenti ci ricordano una verità che riguarda tutti: l’ineluttabilità del nostro declino. Tuttavia, se e quando la vita si ostina a permanere anche negli stadi più avanzati della vecchiaia, è normale spaventarsi di apparire ridicoli, non sapere più misurare i nostri comportamenti, è normale che l’idea che abbiamo di noi stessi improvvisamente appaia squilibrata e senza senso, come la voglia di vestire in un certo modo o pettinarci in un certo altro modo.

La vecchiaia comporta una vera e propria crisi d’identità, provoca uno sdoppiamento: non sono più io, un altro occupa il mio posto, un altro nel quale non m’identifico più. Come uscire, allora, da tale crisi d’identità? Come aderire alla nuova immagine di noi stessi? Esistono soggetti che per difesa si rifugiano nella vecchiaia, esagerano le loro impotenze e rinunciano alla vita che ancora resta.  Altri no, altri lottano contro i pregiudizi e contro una società che vorrebbe tenerli da parte, rinchiusi in case di riposo, ghettizzati. Credo che grazie a questi arzilli “nuovi” anziani sia già in corso una mutazione sociale in grado di permettere a tutti di vivere una vecchiaia che non sia una comica parodia dell’esistenza precedente.

Il segreto lo sappiamo bene, sta nel conservare delle passioni abbastanza forti che evitino per quanto possibile il fatale ripiegamento su se stessi. E non dimentichiamo la cosa più importante: tutto ciò è permesso solo in una società intelligente che valorizza la cultura ed è capace di rendere un cittadino attivo e utile a qualsiasi età.

 

3 commenti su questo articolo:

  1. Gemma scrive:

    Lo scontro generazionale è inevitabile. I ritmi sono differenti. Le esigenze diverse. In un sistema che ci vede svolgere le stesse mansioni negli stessi ambiti, i confronti, gli scontri, le divergenze si manifestano. La scuola ne è la dimostrazione. Una vecchia insegnante può aver maturato esperienza e avere tutti i requisiti per educare alunni che, naturalmente, preferiscono metodi moderni, tecnologici e innovativi, proposti dalle nuove leve, sicuramente più accattivanti e meno impegnativi.

  2. silvia scrive:

    Hai molto ragione quando parli di “crisi di identità”. Pensavo all’adolescenza, quando per la prima volta forse si fatica a riconoscersi in un corpo che cambia così velocemente. Anch’io sto provando una sensazione simile ora che mi accorgo di non riuscire a fare più con la stessa naturalezza i movimenti di sempre, come ad esempio salire e scendere da un autobus mentre dentro conservo ancora un’altra immagine di me stessa, di quando riuscivo a correre dietro quello stesso autobus per non perderlo alla fermata. Come nella dissolvenza cinematografica, quando un’immagine sfuma nell’altra, dobbiamo continuare ad amarci per quello che siamo, per ciò che siamo state e per ciò che continueremo ad essere sapendo che solo ciò che non cambia muore.

  3. Rita scrive:

    io credo che per quelli della mia generazione ogni stadio della vita sia stato difficile,
    dal momento che non seguivamo più i modelli sociali presistenti.
    Una mia amica inglese si pone l’obiettivo di un declino “graceful” e io credo di condividere
    questa aspirazione, non rinunciando a niente che si possa ancora godere, visto che non
    è concesso sapere quanto tempo sarà concesso a ciascuno di noi, anziani.

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