L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

8 maggio 2019 di: Stefania Di Filippo

Nella società attuale, dai social ai mass media l’unico “valore” rimasto sembra essere la perfezione, pertanto, chiunque manifesti una “mancanza” soprattutto fisica e, specialmente, mentale viene considerato strano, da evitare, quasi. Dietro ogni condizione patologica, però, non ci si deve dimenticare, c’è una persona, un essere umano. Proprio quest’ultimo pensiero è quello che ha accompagnato il neurologo Oliver Sacks durante la sua carriera universitaria e medica ed altrettanto quella di divulgatore scientifico, scrive, infatti, all’inizio del suo “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” (1985): “Mi sento infatti medico e naturalista al tempo stesso; mi interessano in pari misura le malattie e le persone; e forse sono anche insieme, benché in modo insoddisfacente, un teorico e un drammaturgo, sono attratto dall’aspetto romanzesco non meno che da quello scientifico, e li vedo continuamente entrambi nella condizione umana, non ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza, la malattia: gli animali si ammalano, ma solo l’uomo cade radicalmente in preda alla malattia”.  Il saggio è diviso in quattro parti: Perdite, Eccessi, Trasporti e il Mondo dei semplici, in ognuno dei quali l’autore affronta in maniera romanzesca alcuni dei casi clinici che ha seguito durante la sua vita, soffermandosi sia sulla descrizione scientifica (che risulta essere a portata anche dei profani in materia) che sulle conseguenze che queste patologie hanno sulle vite dei pazienti, in alcuni casi rendendone l’esistenza davvero molto difficile, in altri, come quello del paziente dal cui caso prende il nome l’opera, comici sì ma fino ad un certo punto, ad altri un po’ più riflessivi, come quello di colei che perde la propria percezione e non sa riconoscere e percepire il proprio corpo nello spazio, avendo non pochi problemi di movimento ed equilibrio. “Questa propriocezione è come se fosse gli occhi del corpo, il mondo in cui il corpo vede se stesso. E se scompare, com’è successo a me, è come se il corpo fosse cieco. Il mio corpo non può ‘vedere’ se stesso se ha perso i suoi occhi, giusto? Così tocca a me guardarlo, essere i suoi occhi. Giusto?”. Il corpo umano è una macchina perfetta ma può capitare che, da un momento all’altro, si inceppi e che non ci sia nulla (o poco) da fare per far in modo che tutto ritorni alla cosiddetta “normalità”, attraverso la lettura di questo testo si può capire quanto ci sia di casuale nella nostra vita, soprattutto quando si parla di mente/cervello e quanto possa essere importante, se ce ne sono le possibilità, prevenire tutto quello che potrebbe portarci a perdere, letteralmente, una parte di noi stessi.

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