Gente di qualità

3 febbraio 2020 di: Ricerca iconografica e testo di Maria Chiara Di Trapani

Bianca Pucciarelli Menna ( Salerno, 1931) è tra le maggiori figure della della poesia fonetico-sonora-performativa italiana. Femminista, attivista e docente, inizia il suo percorso negli anni ‘60. Nella sua ricerca artistica la parola e il corpo si fondono in un’ esperienza che coniuga insieme parole e segni grafici. L’artista diventa un’ esploratrice della lingua italiana vista come il territorio dove l’identità della donna è soggiogata al potere maschile. L’utilizzo del proprio corpo come media, è una costante della sua ricerca artistica, insieme all’autoritratto, strumento con cui mette in gioco la propria identità criticando gli stereotipi legati al femminile e al maschile.

L’artista trasforma se stessa in scrittura vivente opponendosi come incisiva alternativa al linguaggio stereotipato imposto dalla cultura dominante. La fotografia è per Tomaso Binga il mezzo con cui sceglie di raccontarsi agli occhi dell’altro, assumendo un ruolo attivo nelle dinamiche dello sguardo e gli stereotipi sociali imposti alla figura femminile.L’autoritratto le permetterà di indagare sul doppio ruolo di donna come soggetto e oggetto, usando l’obiettivo per svelare lo scarto tra identità e rappresentazione imposta , evidenziando la disuguaglianza di genere.

Ad esempio un gruppo di ragazzi e ragazze saranno sempre nominati come “ragazzi”, anche se tra loro c’è un solo ragazzo tra centinaia di ragazze, così una coppia di sposi sarà sempre definita come“gli sposi”. Nasce da questa premessa la perfomance “ Oggi Spose”. In un caldo giorno di giugno del 1977 Bianca si sposerà con il suo alter ego maschile, Tomaso Binga.Sulla partecipazione di matrimonio scrive: Bianca Menna e Tomaso Binga “appena sposate” (oggi spose). Binga indossa pantaloni a zampa d’elefante e una camicia bianca ricamata. La sposa interpreta lo sposo. Da quel momento lo pseudonimo maschile Tomaso, -un richiamo diretto al poeta Filippo Tommaso Marinetti-diventa il suo nome d’arte, come parodia ai privilegi riservati all’universo maschile e come simbolo di protesta contro le disparità che caratterizzano la relazione uomo-donna.

Tra le opere : Scrittura vivente (1976), ri-scrittura dell’intero alfabeto attraverso il corpo che prenda la forma dell’abbecedario utilizzato per insegnare le lettere ai bambini. Un nuovo modo per insegnare a leggere il linguaggio del corpo sin dall’infanzia; Lettere liberatorie (1973- 1974) dove il suo corpo nudo assume le pose che corrispondono alle linee delle lettere dell’alfabeto; Mater (1977) Tomaso Binga scatta immagini del proprio corpo nudo mentre mima la forma delle lettere che compongono la parola Mater: dando vita a un alfabeto visivo e gestuale; Donna in gabbia (1974), denuncia della mancanza di libertà della donna.

Partecipa a numerose mostre personali e collettive. Insieme a Verita Monselles realizza mostre e performance: Litanie Lauretane, Poesia Muta, Ti scrivo solo di domenica, Materializzazione del linguaggio (Biennale di Venezia, 1978). Tra le personali più recenti: Autoritratto di un matrimonio e la retrospettiva alla Fondazione Federico J. Klemm di Buenos Aires (2006); Scritture viventi (2013); Zitta tu… non parlare (2014); Carta da parato 40 anni dopo (Galleria Rossana Ciocca 2015). Dal 1974 dirige l’associazione culturale Lavatoio Contumaciale, che si occupa di poesia, arti visive, letteratura, musica e multimedialità; dal 1992 partecipa, in qualità di vice-presidente, alla gestione della Fondazione Filiberto Menna. *

Vive e lavora a Roma

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